Durante la pausa estiva ho avuto modo di confrontarmi con un amico. Lui è un imprenditore che ha creato e sviluppato un’azienda solida e sana, in crescita. Ha un figlio che ha studiato e si è formato per seguire le orme del padre. Un ragazzo capace e brillante, un degno erede a cui passare il testimone.
Un erede che ora non vuole più percorrere questa strada e ha deciso di cambiare direzione.
Ci siamo trovati a parlare dell’impatto che questa scelta ha sul padre, il suo senso di smarrimento. Un progetto pensato da tempo per il quale (a differenza di molti altri) aveva anche lavorato in modo corretto, preparando le cose in modo ragionato e funzionale.
Ci siamo trovati anche a parlare di quanto possa risultare pesante la responsabilità di dover portare avanti il nome e l’eredità dei genitori. Di quanto possa risultare gravoso essere il prescelto e doversi fare carico di patrimonio ed azienda, magari superando il confronto ingombrante con i successi del fondatore.
Può risultare pesante da sopportare, anche se si hanno tutti i numeri per farlo bene, se si sente che non è quello che ci piacerebbe fare.
Quindi in questo caso la scelta fatta dal figlio è quella giusta e fa il bene anche dell’azienda?
Probabilmente sì, soprattutto anche perché è una scelta presa con largo anticipo rispetto al completamento del passaggio, lasciando il tempo e il modo di progettare un nuovo piano. Il futuro non sarà quello di un figlio imprenditore, ma forse di una proprietà famigliare e una gestione manageriale? Oppure si cercherà una vendita? È presto per avere una risposta, ma sicuramente è meglio cercare di fare la scelta giusta, per tempo.
Il passaggio generazionale è un processo, non un episodio, non è un qualcosa che accade in un momento e via. Quindi, in ogni caso, va pensato, progettato e implementato su un orizzonte pluriennale.
Guardiamo i numeri: si stima che due terzi delle imprese italiane con un fatturato tra i 20 e i 50 milioni sia di matrice famigliare. La percentuale è presumibilmente maggiore se guardiamo alle aziende più piccole. A causa dell’età (superiore ai 70 anni) dell’attuale leader, più che una su 5 di queste aziende dovrà affrontare il ricambio generazionale nei prossimi 5 anni.
fonte ISTAT, Deloitte, Confcommercio
Questo passaggio può risultare complesso, per la natura dell’azienda, per i livelli di competenze coinvolte, per la composizione famigliare, per i carichi emotivi, per il rapporto tra tradizione ed innovazione. Per tanti fattori, che però possono essere ponderati e gestiti, affrontati e risolti. Spesso, facendosi anche affiancare e consigliare.
Qui entra in gioco il ruolo del professionista, del consulente.
Le nostre analisi vertono spesso sui numeri, i processi, l’organizzazione. L’essere terzi rispetto all’organizzazione, ci aiuta ad essere più obiettivi, a formulare un’osservazione più lucida e fredda.
Per dare le giuste risposte dobbiamo ascoltare, recepire anche i segnali deboli, tenendo presente anche il lato umano, la componente emotiva, senza schematizzare. Dobbiamo arrivare a presentare uno scenario completo, strutturato ed organizzato.
Una consulenza personalizzata e di VALORE, che non cerchi la scorciatoia nel confermare le idee già presenti in azienda, ma aiuti a percorrere la strada corretta, per quanto complessa o magari scomoda possa risultare.
Il passaggio generazionale è un tema caldo da anni, ma è sempre più attuale. Nelle prossime settimane ne approfondirò le tematiche con alcuni articoli qui su consistam.com
se ti interessa, leggi l’articolo successivo “le fasi del passaggio generazionale”
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